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Per amore d'Archina 

(vedi la versione in nuscano di Pietro Russo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Da Vigevano era giunto a Nusco Fortunato, una capatina per salutare la nonna. Al Nord aveva messo su famiglia. Pierino, da vecchio amico lo avvicinò:

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- "È vero che ti sei sposato? Auguri, auguri! Vedo che stai bene, molto meglio di quando sei partito!­- "Sai, in due si sta meglio, è un'altra vita. Mi sono deciso quando ho notato che, da solo, sperperavo tutto, non riuscivo a mettere una lira da parte. Certo bisogna aver un pizzico di fortuna, incontrare la ragazza giusta, una disposta a condividere i sacrifici. Gente come noi può offrire solamente le braccia per lavorare. È sempre difficile incontrare una persona semplice, modesta, difficile, non impossibile, come vedi. Basta avere volontà e costanza".

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Parole giuste, da prendere in grande considerazione. A Pierino suonarono come un monito. Fortunato aveva saputo afferrare il momento giusto e sembrava avviato verso una vita diversa. Mentre lui s'era impantanato in una situazione balorda, senza una via di uscita. Gli mancava la forza per prendere una decisione, per fare il gesto finale. Avrebbe voluto lasciare Nusco di notte, per non farsi più vedere, togliersi di dosso quella brutta fama. Sarebbe stata l'unica soluzione, quella vera. Non ne aveva il coraggio; da solo, così, senza un appiglio, non se la sentiva. Per lui Nusco era tutto, la fanciullezza, le gioie, i giochi, i primi giorni di scuola, i ricordi più belli. I giorni, i mesi, gli anni trascorsi per strada, nell'abbandono, senza limiti di tempo. Intuiva Pierino, pur nella sua grettezza, che la libertà di cui poteva disporre a Nusco era immensa, e che nessun altro luogo al mondo gliene avrebbe restituita tanta. Di quel luogo si sentiva padrone, era la sua vita, glielo dettava il cuore. Il sole, l'aria, la campagna, i boschi, tutto gli apparteneva. Peccato che ora s'era venuto a creare questa frattura tra lui e la gente di Nusco, una frattura insanabile, che gli rendeva impossibile l'esistenza. Si sentiva prigioniero di qualcosa più grande di lui.​

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- "È mai possibile che, quando decidono che sei un poco di buono, magari facendo conto su qualche disavventura familiare, sei condannato definitivamente, emarginato?" - riusciva finanche a riflettere, quando la solitudine lo sorprendeva.

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Quell'inverno ebbe modo di distinguersi per generosità e altruismo. C'era stata una grande nevicata. La "borea" fischiava impetuosa e accumulava neve fino ad ostruire le strettoie. Per giorni lavorò intensamente aprendo varchi davanti agli ingressi delle case. Guadagnò qualcosa ed ottenne riconoscimenti. Una piccola soddisfazione. Filomena, un'arzilla vecchietta, sempre pronta alla battuta, andò più in là: "Se continui così troverai l'anima gemella, ci sarà pure una ragazza che saprà apprezzarti... A te serve una brava figliuola, e saresti l'uomo più buono del mondo. È quella la medicina giusta. "

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Venne la primavera. Si presentò l'occasione di un lavoro stagionale, un "cantiere" per allargare la strada della "Fontana dell'Angelo". Una buona compagnia, gente allegra che, mentre lavorava, trovava anche il tempo di inventare barzellette e storie "piccanti". Pierino fu abile a ritagliarsi un ruolo diverso da quello che avevano gli altri: "Ragazzi, io aiuto il capo cantiere, vi rifornisco di acqua, e sono a disposizione per i piccoli servizi, quando vi serve qualcosa, sono qua. "

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Tutti si meravigliarono: "Pierino sta migliorando, non avrà per caso qualche idea per la testa? ...... Poi, riprese la vita di sempre. Niente da fare, a Nusco non c'era verso di cambiare le cose. Allacciare un rapporto vero con una ragazza: un'impresa ardua. Un bel giovanotto lo era, ma le remore su di lui davvero troppe. Più in là, si aprì un tenue spiraglio, cosi per caso, quasi d'incanto. Una domenica, era d'ottobre, si aggirava per la piazza di mattino presto. Sul suo volto si intravedeva la contentezza. Lo avvicinò Antonio, un uomo che di storie di amore se ne intendeva.

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- "Ti ho visto, l'altro giorno, parlottare con una giovincella di campagna; non ti sei mica svegliato presto perché non ce la facevi più a stare nel letto, pensando che la domenica lei viene in paese?­

- Io... io sono qui per ascoltare le storie dei vecchi, ce n'è tanti intorno a S. Amato".

- "E va bene. l'occasione è buona non fartela scappare ".

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L'aria era frizzante, ma si preparava una giornata piena di sole, una di quelle giornate d'ottobre che solo Nusco sa offrire, luminosa e asciutta, con un tramonto bellissimo. Per scaricare la tensione Pierino fece un giro attorno a Nusco. Di sicuro in quei momenti, non ebbe né il tempo né la voglia di lanciare uno sguardo alle valli appena brulle, ai vigneti carichi d'uva, ai tanti colori di cui la natura si era adornata. Gli passava altro per la testa, immerso com'era in un mare di contrastanti pensieri. La piazza si era riempita di contadini vestiti a festa, intenti a discutere tra loro.

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- "Eccola, eccola!" sospirò Pierino, tutto emozionato. Archina era una bella fanciulla, un viso dolce, le guance arrossate. Una contadinella dai gesti garbati, sempre sorridente. Passeggiarono a lungo. Si vedeva che era una bella coppia.

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Passarono un paio di mesi e Pierino era diventato taciturno, serio, quasi inavvicinabile. Un pomeriggio sul tardi, d'accordo con Archina, si recò dai parenti di lei per far sapere finalmente le sue intenzioni. Si avviò deciso per la discesa di Porta Mulino, in poco tempo fu alla Portella. Una piccola masseria, gente semplice, educata. Gli fu fatto subito notare che per crearsi una famiglia ci voleva un lavoro fisso, e che le voci raccolte sul suo conto non erano delle piú edificanti. Se ne sarebbe parlato semmai molto più in là. In realtà era una maniera come un'altra per vedere se Pierino, con il tempo, sarebbe cambiato oppure no, magari spinto dal desiderio di non lasciarsi scappare Archina.

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Egli ebbe coraggio, una dote che fino a quel momento nessuno gli aveva riconosciuto. "Ma io e Archina ci vogliamo bene, chiedetelo anche a lei, e quello è importante. Le dicerie lasciano il tempo che trovano, c'è gente colma d'invidia che è fatta apposta per creare scompiglio. Se si facessero gli affari loro... Il lavoro... ? Ma io sono disposto ad andare in capo al mondo, Francia, Svizzera, Belgio... Non ho paura di affrontare i sacrifici. Lo conoscete Fortunato di zia Albina, anche lui ha trovato lavoro al Nord e si è sistemato in poco tempo. Quando c'è la volontà e la decisione si può tutto—.

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Archina lo guardava e le venivano le lacrime agli occhi, sorpresa anche lei di tanto ardore e di tanta sicurezza. Era stato davvero bravo, fino a destare il sentimento che sapeva di tenerezza.

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Non passò ancora molto e i due si sposarono. Fu così che Pierino scomparve da Nusco. Né la nostalgia dei primi tempi lo indusse a ripensamenti. In paese fu visto un paio di volte, a distanza di anni. Apparizioni fugaci, solo qualche saluto. Il tempo, inesorabile, aveva cancellato le tracce del passato. Strano e mutevole il destino degli uomini.

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                                        Si era nella piena calura di agosto. Verso l'una e mezza - due del pomeriggio partivamo per i "Valloni". Credo che tutti i ragazzi abbiano partecipato, chi più chi meno, al rito dei "bagni" nella piccola valle stretta e selvaggia, in contrada "Pendile (Punnilu) ", un solco d'acqua di pochi metri cubi, tra le pareti quasi a picco di due colline. Alberelli di querce e di salici, siepi cariche di more, rovi, sentieri angusti, era questo l'ambiente in cui eravamo costretti a muoverci, per provare la sensazione di un "bagno" vero. Per noi bastava quello.​

                                        I più bravi si tuffavano dai grossi massi che attorniavano la "vasca", gli altri scendevano in acqua dal lato più accessibile. La valle rimbombava dei tuffi e delle grida di gioia o di ammirazione. Nessuno si lamentava della temperatura quasi glaciale dell'acqua, eccetto i più "delicati". Finiva quasi sempre con delle schermaglie abbastanza violente, a pagarne le spese erano i più sprovveduti.

                                         Il "gioco" più crudele consisteva nel tenere qualcuno con la testa sott'acqua per un bel po', o nel nascondere i vestiti dietro una siepe, costringendo il malcapitato a fare tardi e rientrare per ultimo. Giochi di gioventù, simili a mille altri stratagemmi, in mille altri luoghi del mondo.

                                        Il ritorno a casa, con la stanchezza che si faceva sentire, era un momento di riflessione e di ragionevolezza. Ci si raccoglieva in quattro o cinque gruppetti, sempre ben amalgamati, e venivano fuori suggerimenti, proposte per il futuro, decisioni per l'indomani. Non era raro sentire qualcuno che aveva già grandi progetti, altri che si auguravano di poter, di lì a poco, fare un bagno vero in un mare vero, altri ancora giurare che quella sarebbe stata l'ultima visita ai "valloni". Promesse, parole, patti, speranze. Molti di quei discorsi sono andati via via sbiadendo.

 

 

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Il montagnone di Nusco

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Il sole picchiava forte, così forte che mi mancava il respiro, nella vallata della stazione, dove comincia l'erta della Macchia. Un supplizio. Era d'agosto, in pieno mezzogiorno, roba da lavori forzati. La mia mèta: il Montagnone. Oggi è facile raggiungerlo in auto, in una ventina di minuti è fatta, la strada è buona, asfaltata. Appena giungevo ai suoi piedi, nel castagneto, m'incamminavo lungo un sentiero strettissimo e ripido, con ai fianchi dirupi spaventosi.​

                                        A proposito, una volta, misi un piede in fallo e volai per una decina di metri, salvato solo da un faggio, capitato lì per caso, provvidenziale. Quando mi rialzai lo baciai più volte, come si fa con un amico che non si vede da tanto tempo. Zitto e mosca, nessuno seppe niente. Escoriazioni varie, una costola incrinata; mi conveniva nascondere l'accaduto perché sarei stato irriso e, a casa mia, avrei rischiato di prendere qualche bastonata, per non essere stato "accorto" e tempestivo nell'evitare il "disastro". "Hai una costola malmessa - mi disse, anni dopo, un medico, non ricordo più dove - Cosa ti è successo?". "Niente, sarò nato così, è un difetto di natura ". A Nusco, noi del popolo eravamo fatti a questa maniera, tignosi e riservati fino all'eccesso, timorosi di far sapere le nostre "disgrazie"; era meglio soffrire in silenzio che propagandare i nostri mali. Un costume antico, una ritrosia dovuta all'abitudine e alla timidezza. Era meglio lavarli in casa i panni sporchi. Teoria sulla quale io non ero affatto d'accordo ma che accettavo per quieto vivere, per non discostarmi troppo dalle costumanze tradizionali. Soffrire in silenzio ti abituava al sacrificio.

                                        Dai tredici ai sedici anni il Montagnone era diventato la mia seconda casa e contribuiva in qualche modo all'economia familiare: legna, fragole, origano, latte dei pastori (il più delle volte mi veniva regalato da Salvatore, persona gentilissima; in cambio gli davo notizie di sua moglie e dei figli a Nusco), grano, castagne, ghiande, grano di miglio. All'inizio avevo accettato quel faticosissimo avanti e indietro, si trattava di chilometri a piedi su un terreno scosceso, perché costretto dagli eventi e, in fondo, non mi lamentavo troppo. Con il passar del tempo mi misi in testa che non poteva essere quella la mia vita. Gli altri a Nusco, i miei coetanei, tiravano avanti lo stesso, per di più giocavano a calcio sul campo sportivo vecchio, che io vedevo benissimo dal Montagnone. Ero l'unico a sottopormi a quegli sforzi per mangiare un boccone sicuro; l'unico o quasi.

                                        Giunsi sfinito alla "Piana del Vento", in quel focoso giorno di agosto. Ci vollero due ore al fresco per riprendermi, fiatavo a fatica. Seduto con Nusco sotto, Nusco che era il mio odio-amore; cominciai a prendere le distanze da quello che era stato il mio mondo, fino ad allora. Iniziò un lento processo di distacco, inconscio, disagevole. Andavo un po' controcorrente, contro natura. Detestare del tutto i valori in cui avevo creduto, no, non era possibile, ma un'acredine, un livore, questi sì, stavano crescendo in me.

                                        Non sapevo bene con chi prendermela; vedevo che era una vita squallida, maledetta, in un tempo in cui molte persone, della mia stessa risma, cominciavano ad arricchirsi in giro per il mondo. Il risentimento accrebbe nel tempo nel confronto di tutti e di nessuno. Covavo dentro, era dentro che rimuginavo. Quel giorno decisi l'addio alle "mie" stradine, ai luoghi in cui ero cresciuto. Ne trascorse di tempo prima che si attuasse il mio proposito, ma ci fu un avvio, un segnale forte.

                                        Col senno di poi mi risulta agevole disquisire sull'abbaglio che presi in quel frangente, polemizzare con me stesso per le ipotesi contorte e strane che modellavo in quel periodo. Adesso rimpiango il Montagnone, la sua aria, i suoi odori, i suoi colori. E la sua vista meravigliosa che ti faceva sentire al di sopra di tutto e di tutti, tanto da farti riflettere sulla miseria degli avvenimenti umani: da lassù, in solitudine, si ha la sensazione di essere al di fuori e al di là della realtà. Sempre col senno di poi, s'intende. Le cose cambiano, si evolvono, e ciò ché prima poteva sembrare un flagello si rivela tutt'altro. Bastano le albe e i tramonti vissuti lassù per ripagarmi della rabbia accumulata.​

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Angelo Pepe

Li bagni a li valluni

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Era Pierino un bighellone senza né arte né parte. Aveva combinato ben poco, almeno fino allora, pur avendo superato abbondantemente i vent'anni. A Nusco il suo destino pareva già segnato. Passava per uno che non "aveva la testa sulle spalle".​

" Perché sei tutto il santo giorno a far niente? in giro a zonzo, sfaccendato che non sei altro. Sei capace solo di infastidire gli anziani. Metti la testa a posto, prima che sia troppo tardi! "- gli rimproveravano. - `Impicciatevi degli affari vostri" - ribatteva lesto; e via di corsa, non si capiva se per paura o per vergogna.

 

Gli contestavano tutti le stesse cose, ad eccezione di qualche persona più comprensiva. In apparenza non mostrava di prendersela più di tanto, sotto sotto però ne soffriva. Più di una volta aveva reagito: "Avrete pure ragione di parlar male di me, lo ammetto. A nessuno di voi però viene in mente che io non ho mai avuto un consiglio, un aiuto morale. E la mancanza di una madre? Non conta niente? Mi sembra mille anni... Un giorno o l'altro mi tolgo dai piedi e levo il disturbo!"

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